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Un po’ di storia

 

Iniziando l’intervista che le è stata chiesta da Violeta Hemsy de Gainza (argentina, eutonista ed insegnante di musica), Gerda Alexander traccia le origini della ricerca che la portò a dar vita all’Eutonia.

 

“Alla fine, l’inizio dell’eutonia è legato all’ interesse per il movimento che ha inizio già nella mia infanzia. Sono sempre stata fissata per una educazione del movimento che non si fondi sull’imitazione”.

 

Raymond Murcia commenta questo passaggio sottolineando che all’epoca questa presa di posizione fu d’avanguardia poiché tutta la pedagogia del movimento era fondata sulla dimostrazione e sulla riproduzione.

 

Figlia di grandi amanti della musica e appassionata del movimento, fin da piccola si dedicò alla danza. Già a otto anni fu allieva di Otto Blensdorf (allievo di Jaques Dalcroze) e decise di diventare ballerina di professione. Era però una bambina di salute precaria soggetta spesso a malattie. Frequenti episodi di reumatismo articolare e crisi cardiache le causarono, a 17 anni, una endocardite a seguito della quale le fu proibita qualsiasi forma di movimento autonomo , perfino il vestirsi da sola. La prognosi, formulata da tutti i cardiologi consultati, svedesi, danesi, tedeschi, fu decisamente sfavorevole: se fosse riuscita a sopravvivere, avrebbe condotto una esistenza in carrozzella.

 

La forte passione per il movimento non permise a Gerda di accettare una così grande riduzione delle sue prospettive di vita. Cominciò a lavorare con sé stessa per realizzare uno stile di movimento che le evitasse di consumare più energia del necessario in modo da non affaticare il cuore malato. Fu un acuto bisogno vitale che la spinse a sviluppare una grande attenzione a sé (autocoscienza, presenza a sé) per ottenere un movimento economico (minor dispendio di energie). Da qui comincia la scoperta che la porterà a realizzare una “pedagogia dell’eutonia”. Grazie al beneficio personale conseguente a questo lavoro, fu in grado di continuare i suoi studi di ritmica e a diventare insegnante.

 

Giovanissima, 25 anni, nel 1933 fu chiamata da Leopold Jessner ad insegnare ritmica a tutti gli artisti dello Stadt Theater di Berlino.

L’avvento del nazismo la trovò in contrasto con le idee del regime:

“Mi è parso sin dall’inizio che le idee di Dalcroze non avrebbero potuto essere praticate fintanto che durasse il nazismo”.

Per quanto le fosse stata proposta la direzione di importanti  scuole di musica e di arte a Berlino, Dresda, Düsseldorf e altri, non si fermò in Germania.

Accettò, invece, l’incarico di formare alla ritmica un gruppo di insegnanti di scuola materna e di ginnastica e si trasferì a Copenaghen dove le furono dati incarichi molteplici sempre attinenti all’insegnamento della ritmica di Dalcroze. Formò i ballerini dell’Orchestra Sinfonica della Radio Nazionale Danese ma lavorò anche nelle scuole materne e primarie in collaborazione con la “New Education Followship” organismo internazionale che raccoglie, ancor oggi, tutti i gruppi che si occupano di “educazione attiva”.

 

Nel frattempo, maturando da tutte le esperienze fatte, la pedagogia dell’eutonia toccherà tutti i suoi temi principali che possono essere raggruppati in queste due linee di sviluppo:

 

  1. ricerca di un movimento economico fondato essenzialmente sulla fluttuazione della funzione tonica;

  2. ricerca di un movimento autonomo che nasca dalla spontaneità espressiva della persona e non sia vincolato (“alienato” ebbe a dire R. Murcia) dalla necessità di imitare e ripetere quanto prescritto da altri.

Lo sviluppo del primo tema la portò ad enunciare i principi o esperienze ritenute importanti per raggiungere questa fluidità eutonica.

Li descrivo sinteticamente. Ognuno di loro sarà oggetto di un ulteriore approfondimento.

 

→ Il tocco ed il contatto.

Oggetto elettivo della Pratica, è essenzialmente uno strumento di relazione.

Rivolto verso l’esterno (esterocezione, spazio esterno) ci mette in contatto: da una parte con il mondo fisico dominato dalla gravità e dal ritorno antigravitazionale il cui dialogo organizza la postura e le sue variazioni in un susseguirsi di modulazioni armoniche dell’equilibrio; dall’altra con il mondo delle relazioni con i viventi per cui “avere tatto” significa possedere capacità di discrezione e delicatezza e la persona che ne possiede è ritenuta “persona equilibrata”.

Rivolto verso l’interno (interocezione) ci offre la consapevolezza delle nostre costituenti somatiche (pelle, muscoli, ossa, articolazioni, visceri, attività interne...) e approccia ciò che in eutonia è chiamato lo spazio interno.

 Lo si sperimenta attraverso l’inventario dei vari segmenti somatici per averne una percezione sempre più precisa e consapevole, le vibrazioni   dell’osso generalmente fatte con  bambù, la Vibrazione della pelle; lo studio del trasporto che ci permette di aver consapevolezza del modo in cui si realizza il riflesso antigravitazionale e di come si trasmette l’energia attraverso la struttura ossea.

 

→ Il movimento

È lo scopo dell’Eutonia che per questo non può essere considerata una pratica di rilassamento. Ci si giunge attraverso: flussi di postura (stiramenti dinamici), micro stiramenti, scivolamenti dell’osso, prolungamenti, studi della spinta, studi della passività statica e dinamica. Sono tutte attività che si svolgono in parte individualmente, in parte in coppia, a tre o piccoli gruppi.

Ci portano verso l’espansione della finezza assoluta dei movimenti, dei gesti, con il minimo di tensione necessaria, con la fluidità giusta per l’azione che stiamo facendo. È la continuazione di quel processo evolutivo che rende capace il bebè nell’ultima parte del suo primo anno di poter afferrare tra il pollice e l’indice una piccola briciola e più avanti permette all’artigiano la manipolazione dei suoi strumenti di lavoro con cui esprimere la più fine realizzazione della sua capacità creativa. Un tono rigido, una motricità incollata non gli sarebbero di aiuto.

Ci portano ancora a realizzare un altro percorso evolutivo volto alla possibilità di abbandonare l’irrigidimento neonatale attorno all’asse centrale del corpo e di avviarci progressivamente verso l’espansione in direzione dello spazio esterno. L’incontro con l’Altro è una spinta verso... in direzione di... regalandoci quel tono di discrezione e delicatezza che ci fanno accogliere come persone equilibrate.

 

→ Gli studi di movimento

Sono l’espressione del secondo tema di ricerca di Gerda: la realizzazione di un movimento autonomo, libero da ogni condizionamento. Ebbe a dire:

 

“Mi riempio di meraviglia pensando alla ricchezza delle variazioni che sarebbero possibili se ciascuno potesse esprimersi in un modo personale appoggiandosi alle leggi del movimento, alla gravità e antigravità e alla loro manifestazione nello spazio”.

 

Sicuramente l’educazione famigliare ma soprattutto il lungo lavoro con Dalcroze forgiò dentro di lei questa anima libertaria, refrattaria ad ogni vincolo di aderenza. Probabilmente fu questo suo atteggiamento a farla allontanare dalle collaborazioni iniziate con Lowen e Feldenkrais.

 

Come ricorda nell’intervista data a Violeta, tra il 1920 e il 1929 molte scuole di movimento e danza avevano percorso la strada di spettacoli di danza ed espressione corporea senza il sostegno della musica.

 

“Ho compreso che se un corpo è libero da tensioni inutili e da movimenti abituali erronei, non è necessario aggiungere l’espressione. Il corpo esprime da sé stesso ciò che è la persona in quel momento”.

 

Quelli che chiamiamo “studi di movimento” non sono altro che la ricerca di tutte le possibilità di movimenti che ci sono disponibili sia nel formato che  Paillard ha chiamato “morfocinetici” cioè destinati alla modifica del corpo nella sua forma, posizione nello spazio, postura, sia “teleocinetici” cioè destinati a raggiungere gli oggetti, le persone che stanno nello spazio attorno a noi per continuare insieme (a due, a tre, …) questa ricerca. Unica indicazione è che il movimento non sia dipendente da un progetto che venga dato dall’esterno ma nemmeno sia la realizzazione di un pensiero mentale che stia prima, di qualcosa che ci imponiamo di realizzare.

 

Lasciare emergere, lasciare che si faccia, lasciare che un movimento nasca dal movimento che c’è prima e si trasformi in quello che viene dopo, lasciar spazio alla piacevolezza di muoversi e all’espressione che ne viene di conseguenza.

 

Ad un certo punto di questo suo percorso in cui vengono messi a lato dipendenza, suggestione , imitazione ripetitiva, Gerda realizza che “l’Eutonia ormai non è più mia” ma è diventata di tutti gli allievi che ha iniziato a questo cammino e che, seguendo le proprie inclinazioni, l’hanno percorso in campi diversi dai suoi realizzandola in funzione della propria personalità e dei propri bisogni.

Nell’introdurre il libro con cui D. Digelmann ha esposto la sua tesi di dottorato in medicina sull’Eutonia, G. Alexander si esprime così: ” Una delle mie prime allieve elabora una teoria dell’eutonia ed espone le sue conoscenze acquisite dall’esperienza maturata dall’inizio fino alla pratica personale…. Ciascuno se ne farà un suo punto di vista in funzione della sua formazione iniziale e del suo vissuto successivo. Il punto di vista dello psichiatra, a questo riguardo,  non potrebbe essere simile a quello del concertista, per esempio, o a quello del fisioterapista, o del ballerino. Tuttavia l’insieme del lavoro di base si rivolge a tutti…”

 

Il movimento eutonico è la stoffa comune a tutti coloro che percorrono il cammino a cui questa pratica invita; ciascuno, poi, si farà sarto dell’abito che sentirà più bello per sé.

 

                                                                                                            

                                                                                                                                                                  (testo di Francesco Gasto)

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